lunedì 21 aprile 2008

La vita che prende forma

Per chi ama la poesia o anche solo volesse capire di cosa parliamo veramente quando parliamo di poesia - sgombrando il campo da tanta melensa retorica banalizzante e romanticheggiante - consiglierei la lettura - non facile ma preziosa - di questo scritto di padre Antonio Spadaro, gesuita e scrittore per Civiltà Cattolica, ma soprattutto esperto - tra le altre cose - di poesia e letteratura moderna anglo-americana. Il testo anticipa la relazione di Padre Spadaro al quinto convegno nazionale sulla letteratura organizzato dall'associazione culturale Pietre di scarto e dalla Federazione Bombacarta.

La poesia - dice subito l'autore, senza indugi - è "una forma di vita", anzi è "la vita che prende forma". Quando una vita prende forma? "Quando davanti a lei si aprono possibilità". La poesia, dunque, apre possibilità nella realtà (non fuori dalla realtà, è il contrario dell'evasione...). Il poeta guarda e vede ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma ha la funzione di dischiudere le immagini e aprire, distillare significati: "Svelatore d'Immagini, / è Lui il Poeta", dice la poetessa statunitense Emily Dickinson.


Dunque poesia come Visione, ma anche poesia come Ascolto. Il poeta accosta "l'orecchio alla conchiglia del mondo", e la sua parola stessa si fa "conchiglia", cioè capace di dire "l'infinità presente nella finitudine della realtà". Una capacità e-vocativa (che cioè, etimologicamente, tira fuori la voce, il vero nome delle cose) che è il contrario della vaghezza. Questo è particolarmente difficile da capire, perchè suona come un ossimoro per la nostra ragione ordinaria, discorsiva, in fondo mercantile (cioè utilitaristica, economicistica) e positivistica. Eppure è una verità evidente e incontrovertibile: "E' la precisione che potenzia la capacità evocativa della parola poetica, non la sua vaghezza". E' la concretezza che rende reali le emozioni, "evitando eccessi di astrattezza e sentimentalismo". Una precisione e una concretezza che non "soffocano" la realtà, non la schiacciano, non la "infilzano" come una farfalla morta, ma portano la parola poetica a "sconfinare", ad dischiudere significati, ad aprire possibilità di vità. Perchè "vivere" - ha scritto in un suo verso la Dickinson - è "vivere nella possibilità".



(Foto da Flickr/Francesco Z, "Conchiglia su uno scoglio", creative commons)

giovedì 17 aprile 2008

La lunga notte è finita

Questa sera, dopo mesi che la portavamo avanti fedelmente (e dopo una settimana di digiuno per punizione...) con i miei bambini abbiamo finito la lettura dell'ultima pagina - la n.1153 - dell'ultimo racconto delle Cronache di Narnia, il capolavoro - è proprio il caso di dirlo - di Clive Staples Lewis.

Un'avventura bellissima: quella del libro in sé, della sua storia, e quella della sua lettura, notte dopo notte. Leggendo, oltre le pagine, lo stupore negli occhi dei bambini - soprattutto Giosué, il più grande - vedendo 'lavorare' la loro immaginazione, ascoltando le loro reazioni e le riscostruzioni, tentando di rispondere alle loro domande.

Le Cronache di Narnia - nel susseguirsi dei racconti - sono una grande storia della Salvezza. Antico e Nuovo testamento riscritti per i bambini (e per i grandi) senza mai nominare Dio né Gesù Cristo, ma rappresentando concretamente tutti i misteri della fede cristiana: creazione, caduta, redenzione, morte e resurrezione.

Come succede per la vera poesia, il linguaggio a volte è capace di ridire in modo nuovo le eterne verità che albergano nel nostro cuore. Qualche assaggio dagli ultimi due capitoli dell'ultima storia, "Il cuore delle cose" e "L'addio alla terra delle ombre": "Tutti trovano solo quello che cercano veramente"; "Dovete guardare al cuore delle cose"; "Più entri nel cuore delle cose e più grandi diventano (più grandi sono gli universi che scopri). L'interno è sempre più grande dell'esterno"; "Nessun cosa buona verrà mai distrutta".

Infine, l'ultima pagina. I protagonisti - 4 bambini - scoprono di essere morti. Queste le parole di Aslan, il grande Leone signore di Narnia: "C'è stato un grave incidente ferroviario - disse Aslan con voce pacata - Voi e i vostri genitori, come dite nella Terra delle ombre, siete morti. La lunga notte è finita: inizia il nuovo giorno. Il sogno è terminato e questo è il momento del Grande Risveglio..."

martedì 15 aprile 2008

Ugo Robot

Alla scuola materna fanno ascoltare le canzoni dei cartoni animati di quando eravamo piccoli noi. Ma i bambini sono creativi e personalizzano. Mio figlio Giosuè, 6 anni ancora da compiere, ieri sera cantava a letto: "Ugorobòt-Ugorobòt, si trasforma in un raggio missile..." Inutile tentare di convincerlo che il nome del mitico Goldrake era Ufo Robot: "No papà, è Ugo Robot!"

Mi trovo costretto a portare le prove

mercoledì 9 aprile 2008

Radicalismo evangelico assoluto

Ancora qualche pensiero su Chiara Lubich, la fondatrice dei Focolari recentemente scomparsa, dopo aver letto il numero monografico che le ha dedicato la rivista del suo movimento.

Osservando la parabola della sua vita - da semplice maestrina di Trento a guida spirituale di un movimento diffuso in tutto il mondo (parabola tipicamente evangelica: le cose grandi affidate ai piccoli) - risulta particolarmente vero quanto lei dice di se stessa, con un linguaggio che ricorda da vicino quello di Madre Teresa di Calcutta: "La penna non sa quello che dovrà scrivere e lo scalpello non sa quello che dovrà scolpire. Quando Dio prende in mano una creatura per far sorgere nella Chiesa qualche sua opera, la persona scelta non sa quello che dovrà fare. E' uno strumento. E questo, penso, può essere il caso mio".

Padre socialista e antifascista, fratello partigiano e giornalista all'Unità, Chiara ha vissuto la sua vita all'insegna del "radicalismo evangelico assoluto", espressione che farebbe inorridire tutti quei cristiani che si definiscono orgogliasamente 'moderati' e che vedono 'rosso' al solo sentir parlare di "comunione" ("ogni cosa tra loro era in comune...").

La "spiritualità di comunione" di Chiara Lubich è anche "la spiritualità dell'abbandono" e dell'attimo presente ("Ogni momento è un dono" è il titolo di un suo libro che comprai per caso qualche anno fa). "Tutto ciò che succede attorno a me succede per me" è una sua frase che vorrei scolpire a caratteri cubitali nella mia mente. "Gesù di tutte le circostanze per plasmarci, per smussare gli angoletti del nostro carattere, per santificarci. L'unica cosa che dobbiamo fare è prendere tutte queste voci delle circostanze come voce sua. Tutto ciò che succede attorno a me succede per me, è tutt'un'espressione corale dell'amore di Dio a me". Il linguaggio è estremamente semplice, quasi ingenua, ma dice cose grandissime. Anche per questo Giovanni Casoli, critico letterario e poeta, parla di Chiara come di una "grande scrittrice involontaria", sulla scia di una tradizione cristiana femminile che va da Caterina da Siena a Teresa d'Avila a Teresa di Lisieux: "semplicità perforante" e "colloquialità diretta", "tanto caldamente familiare quanto esigente".

Come Giorgio La Pira, Chiara aveva amici in tutto il mondo. Amici sconosciuti e amici "famosi", come Giovanni Paolo II, e prima Paolo VI e Athenagoras I, grande patriarca ecumenico di Costantinopoli, che amava definirsi "un semplice focolarino". Innumerevoli poi le testimonianze di stima, affetto e riconoscenza da uomini e donne di tutti i Paesi e tutte le religioni. Shahrzad Houshmand, teologa musulmana iraniana, dice di Chiara: "Era la personificazione della misericordia, la rahma coranica". "Sei stata la bella e reale manifestazione di quell'Islam che letteralmente siginifica: affidarsi completamente alla pace di Dio". Per Phramaha Thongratana Thavorn, monaco buddhista: "Mamma Chiara non è solo vostra, è anche nostra. Anzi, lei è del mondo intero". "Amici" di Chiara erano - naturalmente - anche i non credenti, ai quali si rivolge con una delle espressioni più belle che abbia mai sentito: "Noi non possiamo fare a meno di voi..."

Chiudo il post con un'altra espressione di questa maestrina di Trento che era anche maestra di vita: "Ricordati - dice a un amico - che la nostra vita è un eterno ricominciare".

L'incubo di Ticchettòcche

Ho iniziato a giocare a calcio a 6 anni, nella squadra romana del Portuense, poi Junior Portuense. La gran parte della mia "carriera" l'ho passata con la maglia numero 3, terzino sinistro dai piedi buoni, con il vezzo/vizio del tunnel all'attaccante. Mi ricordo un solo autogol in partite ufficiali: di testa, da calcio d'angolo, la palla piazzata sotto la traversa al mio portiere in uscita. Non fu certamente bello - lo ricordo ancora! - ma quello che è successo a questo difensore nella Coppa d'Ungheria è veramente troppo, l'incubo di qualsiasi calciatore.

Mai indossato


Annuncio vero trovato in bacheca, davanti alla macchinetta del caffé: "VENDESI ABITO DA SPOSA MAI INDOSSATO MARCA PAOLO D'ONOFRIO. TAGLIA 42/44. COLOR AVORIO....EURO 3.000,00 TRATTABILI. TEL..."


E' una cosa triste, lo so, ma mi ha fatto ridere. Chi comprerebbe un abito da sposa con quel precedente? Io non sono superstizioso, però...

lunedì 7 aprile 2008

Vedò

Nuove mirabili acrobazie infantili sul passato remoto. Dal verbo vedere, terza persona singolare, un adorabile "vedò" sussurato da Elisa mentre mi racconta una storia che finge di leggere dal libro aperto.

Stufoso

"Uffa papà, è stufoso fare sempre quello che dite voi!"

Giosuè, quasi 6 anni. Nuovi aggettivi